Roma è sempre stata una città caotica, fin dalle origini. A partire dal famoso ratto delle sabine, passando per la città che ospita la santa sede fino ad arrivare al giorno in cui diventò capitale d’Italia.
Roma è abituata all’immensa marea di persone, turisti e pellegrini che occupano il suolo della città eterna. Da quando è sede del governo, le piazze sono diventate territorio di protesta. Duemila manifestazioni (più di 5 al giorno) secondo il quotidiano il tempo solo nel 2017 e sempre nello stesso anno più di 11 milioni turisti secondo l’ente bilaterale del turismo. Consideriamo anche che almeno una volta al mese (solitamente un lunedì o un venerdì) i mezzi pubblici entrano in sciopero e, quando non sono loro ad astenersi dal lavoro, ci pensano i tassisti ad incrociare le braccia.
Ora osserviamo che Roma sia l’unica città al mondo che utilizza le stesse strutture e lo stesso sistema di viabilità che usavano gli antichi romani, strade larghe a sufficienza per viaggiare (i ricchi viaggiavano) con i cavalli e le carrozze. Quelle stesse strade, che sono state calpestate da Augusto, Cesare o Nerone, ora vedono sfrecciare i copertoni dei potenti SUV, delle scattanti utilitarie, dei camioncini che riforniscono i negozi, dei giganteschi bus che tentano di collegare i vari punti della città.
Tutto questo si ripercuote sulla viabilità, sul caos e spesso sul disordine che regna. I romani hanno tutto questo nel DNA, dunque sono abituati e storicamente ospitali, accoglienti, rassegnati anche al destino che sono costretti a vivere. Lo vivono con l’ironia che li contraddistingue. I romani sanno quando escono da casa, ma non sanno a che ora vi fanno ritorno.
“Amore a che ora torni stasera? Ti aspetto per la cena?”
Per noi romani dare una risposta a questa domanda a volte è difficile. Negli ultimi anni, a dire il vero, la tendenza degli abitanti dell’urbe sta cambiando. Si tollera sempre meno e sempre meno ci si rassegna agli scioperi dei trasporti pubblici. Senza entrare nel merito dei contenuti per cui si sciopera e senza sottolineare che lo sciopero è un diritto e conquista degli operai, c’è da dire che gli utenti dei mezzi di trasporto sono stanchi del servizio poco efficiente e spesso a singhiozzo.
Assistevo pochi giorni fa al dibattito che si stava svolgendo in maniera del tutto spontanea sul bus linea 490. La linea collega la parte est della città con la parte ovest, taglia in due la città ed è uno dei tragitti più lunghi che i mezzi di trasporto romani fanno. Un dibattito tra gli utenti, chi a favore e chi contro l’ennesima astensione che blocca il servizio. Informazione appena data dall’autista.
“Il prossimo venerdì scioperoggenerale” detto alla romana, cosi, come se fosse un’unica parola. Chi saliva alle fermate prima ascoltava e poi esprimeva la sua opinione, chi scendeva sentenziava con chiusure degne di tribuna politica, la sua uscita di scena.
Osservavo e ascoltavo divertito, sapevo che alla fine avrei trovato uno spunto di riflessione, e cosi, dopo l’ennesimo:
”ahó ma che venerdì fate sciopero perché gioca aaaroma?”
“ahó ma che venerdì dovete anna ar mare che ve fate aaasettimana corta?”
Esordisce lui dal fondo del bus, uomo di età che va approssimativamente dai sessanta ai settantacinque anni mal portati, volto paonazzo e stanco dopo una giornata di lavoro e forse di vino, o forse vino e lavoro coincidono, non saprei, che da valore alla mia attesa e apre uno spunto di riflessione. All’ennesima affermazione dell’autista intento a portare avanti la sua battaglia al grido:
"Ahó bloccheremo tutta Roma... "
“ahó ma che te vòi blocca'! So anni che a Roma non ze cammina... Se voi fa’ na protesta bbona, facce mòve!”.
E se davvero si facesse lo sciopero al contrario? Ormai siamo assuefatti alle proteste di piazza, stanchi e non sempre solidali con chi protesta, e se davvero si cambiasse modo di protestare? E se davvero avesse ragione lui?
P.S.: Per i non rimani ricordo che “ahó” è un’interiezione su cui poggiano quasi tremila anni di storia linguistica dell’urbe. Leggende metropolitane sostengono che Cesare era salutato con l’esclamazione “ahó Ave” e che Nerone esclamò “ammazza come brucia ahó”.