Per il terzo anno consecutivo, il movimento Non Una Di Meno, ormai diffuso in tutto il territorio nazionale e comprendente anche la comunità LGBTQI*, rilancia lo sciopero nel giorno della Festa della Donna. Questa volta, il movimento torna con iniziative specifiche e ben mirate: banchetti informativi, assemblee e flash-mob nelle piazze dei centri coinvolti.
Diversi sindacati di base hanno aderito all'appello del movimento e hanno proclamato lo sciopero generale nell'arco dell 24 ore dell'8 marzo. Per avere maggiori informazioni in merito, si può fare riferimento a questo vademecum bubblicato sul sito di Non Una Di Meno.
Lo sciopero contesta i provvedimenti dell’attuale governo, in particolare:
1) il disegno di legge Pillon su separazione e affido, contraria persino alle leggi e alle convenzioni internazionali sulla tutela dei minori e sul contrasto alla violenza sulle donne;
2) la legge Salvini sull’immigrazione e la propaganda razzista che la sostiene;
3) l’invenzione della cosiddetta “ideologia del gender” in nome di cui si chiudono i programmi di educazione alle differenze di genere a scuola;
4) il sussidio di disoccupazione a condizioni proibitive, spacciato per “reddito di cittadinanza”;
5) la finta flessibilità del congedo di maternità;
6) le mancate risposte del governo in materia di prevenzione del femminicidio;
7) le mancate risposte del governo in materia di sicurezza per l’interruzione volontaria di gravidanza.
Per approfondire alcune delle motivazioni, Non Una Di Meno afferma e/o chiede:
La violenza non è amore
Occorre riconoscere la cultura sessista alla base della violenza smettendo di parlare di raptus, gelosia, delitto passionale, sovvertendo il frame dell’amore romantico e del conflitto di coppia.
I temi economici legati al lavoro e al welfare sono centrali per contrastare la violenza nel suo carattere sistemico. Esiste infatti un nesso stretto tra la nuova segmentazione e frammentazione del lavoro e la violenza di genere: nella crisi riemerge con rinnovata forza un preciso modello di divisione sessuale del lavoro che assegna “naturalmente” alle donne le attività riproduttive e di cura, costringendole nuovamente tra le mura domestiche o addossando sulle loro spalle il doppio carico di lavoro, dentro e fuori casa, o segregandole esclusivamente in alcuni settori lavorativi. A ciò si aggiungono i dati sulla disparità salariale, sulle molestie e sulle violenze nei luoghi di lavoro.
Risorse e finanziamenti adeguati ai Centri Anti Violenza
I finanziamenti pubblici devono prevedere convenzioni o contratti a tempo indeterminato che coprano le spese di gestione annuali. Il contratto di finanziamento dovrebbe coprire tutti i servizi forniti, e non essere suddiviso in diverse parti. Quindi abolizione del vincolo del 30% dei finanziamenti per l’apertura di nuovi CAV (art. 5Bis L.119), ad oggi applicato senza aver prima monitorato l’effettiva necessità di quelli già esistenti, che chiudono per mancanza di risorse.
Modifiche legislative in materia di affidamento condiviso (artt. 337 quater c.c. e ss.)
Escludendo la sua applicazione in tutti i casi di violenza intrafamiliare e opponendosi ad altre forme di affidamento, come quello alternato, che causano pregiudizio e svuotamento dei diritti economici delle donne (la perdita del diritto all’assegnazione della casa familiare e del mantenimento), generando una condizione di dipendenza e subordinazione economica nei confronti degli ex partner come un ennesimo strumento di ricatto. Di conseguenza rispettare nei casi di violenza il divieto di mediazione familiare e di soluzioni alternative nelle controversie giudiziarie.
Formazione nel mondo dei media e delle industrie culturali
È necessario eliminare a monte le narrazioni tossiche, mirando a cambiare la cultura attraverso percorsi di formazione diffusi e capillari in tutti gli ambiti della comunicazione: dal giornalismo alla pubblicità, dalla comunicazione pubblica a quella artistica. Fondamentale è perciò la revisione dei manuali e del materiale didattico adottati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei corsi universitari, attualmente divulgatori di una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi.
Garanzia d'applicazione per la 194
In Italia su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza; cioè solo il 65,5% del totale. L’obiezione di coscienza nel servizio sanitario nazionale è illegittima perché lede il diritto all’autodeterminazione delle donne, per questo vogliamo il pieno accesso a tutte le tecniche abortive (chirurgiche e farmacologiche) per tutte le donne (native e migranti) che ne fanno richiesta.
Stop alla violenza ostetrica
Negli ultimi quattordici anni, circa un milione di donne italiane (il 21%) ha dichiarato di aver vissuto esperienze di violenza ostetrica durante il travaglio o il parto. Questa violenza si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi fisiologici e mina l’autonomia e la capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita delle donne. Esempi di violenza ostetrica sono la derisione che molte donne subiscono in sala parto o il giudizio in caso di aborto, l’imposizione della posizione supina per partorire, il taglio del perineo anche se non necessario, l’induzione al parto senza consenso. Anche l’insistenza sul parto ‘naturale’, senza epidurale, è da considerarsi una violenza ostetrica.
Permesso di soggiorno incondizionato e ius soli
La cittadinanza per tutt@, lo ius soli per le bambine e i bambini che nascono in Italia o che qui sono cresciut@ pur non essendovi nat@, e il diritto al ricongiungimento con le figlie e i figli già presenti sul territorio.
Stop alla violenza ambientale
Viene definita “violenza ambientale” quella che si attua contro il benessere dei nostri corpi e gli ecosistemi in cui viviamo attraverso pratiche di sfruttamento biocida, ossia attraverso uno sfruttamento che impiega mezzi e sostanze nocivi per la salute dei microrganismi animali e vegetali; è violenza ambientale quella che disegna spazi urbani e rurali attraverso logiche che non rispondono alle esigenze delle donne e nega accesso agli spazi abitativi e non.